L’origine della convivenza uomo-gatto viene solitamente attribuita agli Egizi ma già da diversi anni la scienza ha confutato questa ipotesi.
Articoli su internet, sulle riviste, perfino trasmissioni televisive dedicate al gatto affrontano il tema della domesticazione partendo sempre dalla civiltà che ha portato i gatti ad essere idolatrati come delle vere e proprie divinità.
Immancabili sono i riferimenti a Bastet, la dea egizia con sembianze femminili e testa da gatta, un’immagine mitologica il cui culto avrebbe senz’altro contribuito alla promozione del gatto come animale sacro dell’Antico Egitto.
Se oggi godiamo della compagnia dei gatti e della loro capacità di vivere accanto all’uomo e di essere accolti nelle nostre case, dunque, lo dovremmo agli Egizi e alla loro ospitalità verso questi efficaci cacciatori di roditori in un’epoca in cui non esistevano molti strumenti in grado di difendere le derrate alimentari dalle infestazioni.
E questa convivenza durerebbe all’incirca da 5000 anni.
Le origini della domesticazione del gatto
Eppure, è almeno dal 2007 che la scienza sostiene, dati genetici alla mano, che la convivenza uomo-gatto inizia probabilmente da molto prima e durerebbe da almeno il doppio del tempo.
Uno studio dell’Università della California Davis svolto otto anni fa su undicimila gatti distribuiti su scala mondiale, infatti, ha dimostrato che l’inizio del processo di domesticazione – ovvero quel processo che porta una specie ad acquisire una serie di tratti di socievolezza nei confronti dell’uomo – risalirebbe ad almeno diecimila anni fa ed avrebbe avuto origine nel Medio Oriente, in un territorio compreso tra l’Antico Egitto e la Mesopotamia.
Questo significa che l’origine della nostra convivenza con i gatti partirebbe (sempre che i dati si dimostrino definitivi) ai tempi del Neolitico, il periodo storico che ha visto l’uomo rinunciare alle sue abitudini di cacciatore-raccoglitore, mettere da parte arco e frecce, e da nomade senza fissa dimora trasformarsi in un agricoltore stanziale, costruendo i primi villaggi e le prime abitazioni.
L’ipotesi maggiormente accreditata è che la relazione uomo-gatto sia iniziata come una forma di commensalismo: i gatti – al tempo diffidenti e inavvicinabili – avrebbero iniziato ad approcciare gli insediamenti umani i quali, a loro volta, attraverso l’immagazzinamento delle prime derrate alimentari e i rifiuti prodotti, richiamavano popolazioni di roditori.
La riduzione delle distanze tra uomini e gatti potrebbe aver indotto alcune popolazioni del Neolitico ad interessarsi a queste creature così diffidenti, a incoraggiarne l’avvicinamento e/o a prendersi cura dei piccoli, con l’intento di sfruttare l’efficace talento espresso nella caccia e nel controllo dei fastidiosi invasori.
D’altro canto, questo potrebbe aver provocato, con il passare del tempo, una propensione sempre maggiore dei gatti a risiedere in aree dove l’uomo fosse presente perché le sue abitudini ecologiche restano ancora oggi quelle di un animale i cui rifiuti ed insediamenti rappresentano una fonte alimentare pressoché gratuita ed illimitata per i piccoli felini, rispetto alla ben più dispendiosa caccia solitaria.
Influenze sul processo evolutivo umano
Lo stesso processo evolutivo umano, anche dal punto di vista culturale, ha ricevuto continui contributi e incessanti ibridazioni dal mondo animale con cui si è confrontato.
L’uomo ha imparato a costruire tecnologia utile per solcare i cieli osservando il volo degli uccelli, ha affinato tecniche di make-up cercando di imitare il carisma di animali forti e possenti, ha espresso arte tramite la danza e la musica osservando i movimenti propri delle altre specie, è diventato un cacciatore migliore (e più spietato) grazie al supporto del cane e un agricoltore praticamente inarrestabile sfruttando la forza fisica di cavalli e buoi.
Insomma, deve agli animali molti debiti per le lacune che essi gli hanno consentito di colmare.
Il fatto che la domesticazione del gatto possa essere retrodatata del doppio rispetto a quanto sostenuto fino a qualche anno fa, significa che sono ancora tanti i misteri non svelati riguardo i contributi culturali che questi animali ci hanno donato e, viceversa, ancor molto c’è da dire su quali modificazioni sono state indotte nella specie dalla vicinanza dell’uomo.
Mentre sembra chiaro, infatti, che le alterazioni fisiche rispetto ai progenitori selvatici siano trascurabili, è meno chiaro se la convivenza con la nostra specie possa aver alterato il profilo sociale di questa specie e, soprattutto, in che modo.
Il gatto come “terra di mezzo”
Gli etologi sostengono che il gatto rappresenti una sorta di “terra di mezzo”, difficile da definire realmente domestica perché sfuggente, soprattutto sul piano relazionale, rispetto a certe caratteristiche proprie indotte da questo genere di processo.
Ma forse risiede proprio in questo il loro perenne mistero, in quella capacità unica di essere compagni, amanti, confidenti ma al tempo stesso eterei, inafferrabili, con un piede sempre pronto a tornare verso un essere selvatico, di cui tanto poco sappiamo.
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