La storia del rapporto uomo-cane è un argomento tutt’oggi molto discusso, ma al contempo molto interessante.
Non solo all’uomo è capitato, ad un certo punto della storia, di avvicinarsi a quello splendido animale che è il lupo e imparare a conviverci, ma le trasformazioni che ognuna delle due specie ha saputo trasmettere all’altra, attraverso la reciproca alleanza e la domesticazione, sono affascinanti.
Le origini della domesticazione: chi sono gli antenati dei cani?
La discussione su chi fosse o fossero gli antenati dell’odierno cane domestico è durata per anni fra gli studiosi del settore. Esistevano, infatti, teorie molto differenti tra loro, sia riguardo al numero di specie coinvolte nel processo, sia quali esse fossero.
Darwin, già nel diciannovesimo secolo, suggerì come lupi, coyote e sciacalli potessero aver giocato un ruolo nell’evoluzione del cane domestico. Questa teoria polifiletica è stata ripresa da numerosi studi, come quelli di Jetteles (1887), in contrasto con la teoria monofiletica che sosteneva la discendenza da un unico animale selvatico.
Anche la forma di questo predecessore ideale era discussa: diversi studiosi proposero la derivazione da un canide estinto che Studer di Berna (1901) battezzò Canis ferus. Eppure, questa teoria venne presto contrastata dagli studi di Keller (1903), Hilzheimer e Nehring, che dimostrarono come non fosse mai comparso, tra i resti fossili, un cane selvatico associato all’uomo diverso da lupi e sciacalli.
La teoria del predecessore unico fu ripresa nel 1927 da Klatt, che aveva evidenziato come la diminuzione del volume cerebrale fosse un fenomeno caratteristico dell’addomesticamento. Il cane, che dimostra una riduzione encefalica di circa il 30% rispetto al lupo, pertanto, non sarebbe potuto discendere dallo sciacallo, il cui cervello è più piccolo.
Il convincimento che i cani discendessero anche dallo sciacallo, però, permase per altri cinquant’anni, anche a causa di Konrad Lorenz, il quale sostenne questa teoria in “E l’Uomo incontrò il Cane” (1954). Lo stesso Lorenz ripudiò successivamente questa idea (1975), ma non prima che la sua opinione si fosse diffusa oltre il previsto.
La questione fu risolta nel 1997, da un gruppo di scienziati guidato da Robert Wayne presso l’Università della California. Il team di studiosi sequenziò le regioni di controllo del DNA mitocondriale di 162 lupi, da 27 popolazioni da tutta l’Europa, l’Asia e il Nord America e di 140 cani rappresentanti di 67 razze e 5 incroci. Sono stati aggiunti come controllo per valutare eventuali apporti di altre specie 5 coyote (Canis latrans), 2 sciacalli dorati (Canis aureus), 2 sciacalli della gualdrappa (Canis mesomelas) e 8 sciacalli del Simien (Canis simensis).
Il DNA mitocondriale deriva da un unico genitore – la madre – e questo rende più semplice la costruzione di un albero genealogico degli individui esaminati, le sue sequenze sono una sorta di “pacchetti” che vengono passate di generazione in generazione. Esaminando una data sequenza del mt-DNA si risale alle parentele più o meno strette: meno differenze ci sono nel mt-DNA, meno c’è lontananza genetica.
Senza entrare troppo nel dettaglio dello studio degli aplotipi – cioè dei tratti di mt-DNA sequenziati – la ricerca dimostrò che coyote e sciacalli differivano geneticamente dai cani domestici, mentre tra cane e lupo i campioni di DNA mitocondriale differivano solo per l’1%.
Questa fu la prova risolutiva del dibattito:
“i cani non sono altro che lupi addomesticati nel corso dei millenni.”
Perché proprio il lupo?
C’è un’evidente similitudine tra la società umana e quella lupina. Entrambe, infatti, sono basate sul gruppo familiare per l’allevamento dei piccoli, la capacità di comprendere vicendevolmente espressioni e atteggiamenti che indicano sentimenti e stati emotivi comuni come odio, amore, amicizia, gelosia e il desiderio di comunicare con gli altri.
Il processo di addomesticamento ha, quindi, una base nell’etogramma delle specie selvatiche vicino all’uomo.
È indispensabile, affinché il processo avvenga, che gli animali siano compatibili con la nostra specie. In particolare, essi dovrebbero essere fortemente sociali mentre il coyote e lo sciacallo non lo sono del tutto: il primo si limita ad una collaborazione di coppia, mentre nel secondo l’aggregazione in gruppi avviene al solo scopo di massimizzare il successo nella caccia e solo quando vi è una maggiore disponibilità di prede, senza una struttura gerarchica a pari del lupo.
Inoltre, il lupo è anche poco specializzato per quanto riguarda le abitudini alimentari e territoriali, è rapidamente adattabile ai mutamenti ambientali e si riproduce con facilità.
Quest’ultima caratteristica ha limitato l’addomesticamento di altre specie molto apprezzate come il ghepardo che, cresciuto con l’uomo, si è sempre dimostrato estremamente docile e allevato con piacere in Egitto e in gran parte dell’Asia ma non si è mai riprodotto allo stato captivo fino al 1960.
Infine, il lupo tollera la vicinanza con l’uomo e si è dimostrato poco aggressivo, al contrario di altri tentativi di addomesticamento di grandi carnivori, come l’orso o il leone.
Una specie sociale come il Canis lupus ha bisogno di avere compagni, è nel suo corredo genetico. Un adulto sa bene quelli che sono i conspecifici e quali gli estranei, ma un lupacchiotto di 2 o 3 settimane non ha ancora formato uno schema sociale rigido, rendendolo aperto alle contaminazioni.
I lupi addomesticati, riproducendosi tra loro, hanno dato luogo a soggetti sempre più adatti alla vita con l’uomo, distanziandosi dai loro predecessori.
Questo processo è stato influenzato anche dalla selezione umana, in questo frangente limitata alla cosiddetta mortalità differenziale, cioè l’abitudine di sopprimere i cuccioli che non corrispondevano alle esigenze o aspettative umane.
Commensalesimo e maternaggio
Alcuni studiosi suggeriscono che l’addomesticamento del lupo possa essere cominciato da una forma di commensalismo spontaneo. Una sorta di selezione naturale che ha permesso ai soggetti meno timorosi di frequentare le periferie dei villaggi, trovando vantaggioso nutrirsi degli scarti.
Questi animali, probabilmente, finirono per costituire un gruppo autonomo rispetto ai loro compagni più diffidenti, iniziando ad isolarsi anche dal punto di vista riproduttivo e dando vita ad individui sempre più idonei ad una vita integrata.
Gli uomini dell’epoca potrebbero aver tollerato e apprezzato la loro vicinanza, a causa di alcune qualità come l’emettere segnali di allarme all’avvicinarsi di altri animali.
Un’altra teoria importante è quella del maternaggio, che rende protagonisti del processo donne e bambini.
Le prime, infatti, si sarebbero occupate dei cuccioli trovati durante le battute di caccia degli uomini, allevandoli a mano e allattandoli al seno insieme ai propri figli.
I secondi, invece, avrebbero dato espressione a quella dimensione ludica che molti antropologi ritengono parte non trascurabile del processo di addomesticamento.
Non è da escludere che entrambi questi processi siano avvenuti, sebbene con tempi e modalità differenti.
Quando l’uomo incontrò il lupo…
Reperti archeologici di ominidi e lupi trovati negli stessi siti sono antichissimi, alcuni esempi sono Zhoukoudian – Cina del nord, circa 300mila anni fa; Cava di Lazaret – Nizza, Francia del Sud, 125mila anni fa; Boxgrove – Kent, Gran Bretagna, 400mila anni fa.
Tuttavia, questi reperti ci indicano esclusivamente che i lupi erano già all’epoca cacciati al fine di nutrirsi della loro carne e per la loro pelliccia. Infatti, in questi fossili manca qualsiasi forma di cambiamento strutturale rispetto ad altri lupi, nessuna evidenza di domesticazione in atto, dimostrando che non vi era ancora relazione di dipendenza.
I primi cambiamenti morfologici sono stati riscontrati nei siti del Paleolitico Superiore (circa 15mila anni fa), in cui le ossa di lupo sono state trovate insieme a quelle umane. Per lungo periodo, infatti, la data dell’inizio del processo di addomesticamento era pensata in questo periodo.
Eppure, le recenti scoperte della genetica molecolare, in particolare lo studio già citato di Wayne, spostano la divergenza del cane dal lupo ad almeno 100mila anni. Lo studio di Wayne era basato sul fatto che le mutazioni del DNA non sono casuali e avvengono con ritmo costante nel tempo.
Pertanto, è possibile, dal numero delle mutazioni, stabilire l’intervallo che è intercorso dalla separazione della linea-cane dalla linea-lupo. Secondo lo studioso, le due specie si sono separate circa 135mila anni fa.
Forse, le differenze morfologiche tra lupo selvatico e lupo addomesticato sono emerse con i reperti del Paleolitico Superiore poiché, prima di questo periodo, questi due non differivano esteriormente.
Una distinzione morfologica molto evidente emerge con i reperti di 9mila anni fa, a testimonianza che, in quel periodo, il processo di domesticazione era sicuramente e definitivamente compiuto.
Bibliografia
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Wayne R.K., Geffen E., Girman D.J., Koepfli K.P., Lau L.M., Marshal C.R. (1997), Molecular Systematics of Canidae, System Biol. 46: 622-653 pp.
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